Presidente, già Alfredo Bazoli e Michele Bordo hanno illustrato le ragioni che portano il PD a condividere il provvedimento. Lo hanno fatto però riconoscendo come sarebbe stato meglio avere più tempo per la discussione, e magari per qualche correzione, ma il fatto che sia arrivato al Senato solo pochi giorni fa e che scada tra pochissimi giorni ha imposto una conversione in tempi rapidi. Credo che con la stessa onestà intellettuale sarebbe bene riconoscere che i mesi drammatici che abbiamo trascorso hanno imposto l'accumulo di decreti-legge e misure urgenti. Primo, le misure per riaprire in sicurezza gli uffici giudiziari e l'attività dei tribunali, che è bloccata, con grave danno alla giustizia italiana, anche incentivando modalità telematiche, che dovranno essere la regola nel processo civile e nel processo amministrativo; meno nel processo penale, non perché sia un tabù ma perché abbiamo detto che dobbiamo discutere perché, mentre si ipotizzano forme di processo da remoto, venga in tutti i modi garantito il diritto alla difesa e quanto anche chiede, giustamente, chi difende gli imputati. Sono cose che vanno rispettate e ne discuteremo nell'imminente discussione sulla riforma del processo penale.
Una cosa sulla riapertura degli uffici ci sentiamo di raccomandare al Governo: la riapertura, il 1° luglio, va monitorata, seguita, con un vero coordinamento, con interventi direi quotidiani, logistici (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), di risorse umane, per evitare situazioni a pelle di leopardo, riaperture virtuali e non soltanto reali. Poi, per le emergenze che sono qui dentro, anche le misure legate all'applicazione Immuni, su base volontaria, che garantisce la privacy, che possono concretamente servire a prevenire ulteriori ondate di contagio. Così come nel decreto sta la proroga - per noi l'ultima - del provvedimento che riguarda le intercettazioni. Per gli stessi motivi, il decreto contiene le diverse misure contro il sovraffollamento carcerario, per la tutela della salute degli oltre 50 mila detenuti e degli oltre 35 mila agenti di polizia penitenziaria, misure per contenere una situazione che avrebbe potuto diventare drammatica dal punto di vista sanitario e dal punto di vista della sicurezza interna agli istituti di pena, come le rivolte dei primi di marzo hanno dimostrato.
È in questo quadro che si è aperta la questione di detenuti imputati o condannati per reati legati all'associazione mafiosa e di tre detenuti al 41-bis inviati agli arresti domiciliari. Tutte le persone hanno diritto ad essere curate, anche quelle che si sono macchiate di gravi e gravissimi reati - questo è un principio di civiltà che, evidentemente, non può che essere ribadito -, ma è stato evidente come si sia aperta una falla grave che ha riguardato soprattutto l'attività del DAP, la mancanza di dialogo e comunicazione nel circuito DAP-magistratura di sorveglianza-procura antimafia. Qui, però, dobbiamo e vogliamo essere chiari; ci dispiace, ma noi alcune cose le vogliamo dire. Nel primo decreto, “Cura Italia”, legato alla lotta a un'inaccettabile, incivile, pericoloso, sovraffollamento carcerario sono stati esclusi i detenuti per reati di associazione mafiosa, terrorismo, violenza di genere. Nei successivi decreti, dopo l'individuazione e l'apertura di quella grave falla, si è intervenuti subito per rendere obbligatorio il parere, acquisire il parere della procura nazionale antimafia quando un magistrato di sorveglianza è chiamato a decidere su richieste di scarcerazione legate a ragioni di salute, non perché la procura antimafia debba emettere bollettini medici, ma perché può dare pareri circa la giustezza o meno di rimandare ai domiciliari, nel luogo, nel contesto criminale dove uno, magari, ha operato, un detenuto che ha diritto ad essere curato.
E ancora, con un altro decreto si è intervenuti per far rivalutare ai magistrati di sorveglianza, che avevano adottato provvedimenti sulla base dell'emergenza sanitaria, gli stessi provvedimenti sulla base dell'evoluzione dell'emergenza sanitaria, e abbiamo visto che questa misura, con il calo del contagio, è servita anche a riportare nelle celle alcuni detenuti, sempre nel rispetto dei diritti.
Infine, con altro provvedimento diverso, è stata rinnovata la guida del DAP e ci sono due magistrati, come il magistrato Petralia e il magistrato Tartaglia, da sempre impegnati nel contrasto alle mafie e alla corruzione, che hanno dato un nuovo impulso alla delicata attività del Dipartimento; ce ne sono diversi, per fortuna, in questo Paese, di magistrati antimafia, non è che ce n'è solo uno, insomma. Ricordo queste cose per affermare che, nella lotta alle organizzazioni criminali e mafiose, noi, come Partito Democratico, non accettiamo falle e che, quando queste si verificano, siamo in prima fila a chiedere interventi immediati, come è avvenuto.
Per noi la lotta alle mafie è una priorità, sta nel nostro DNA, come in quello di tante forze, naturalmente: lotta e contrasto nelle carceri, ma, soprattutto, nel Paese, nel momento in cui le mafie e le organizzazioni criminali si fanno oggi particolarmente aggressive e pericolose, perché stanno penetrando nell'economia reale e legale, investendo capitali sporchi e fornendo sostegni, a tassi usurari, a persone, operatori economici, imprenditori, commercianti, messi in ginocchio dalle ricadute sociali della pandemia.
Concludo questo intervento con una riflessione politica. Crediamo che sia il tempo, tutti insieme, di provare a superare i troppi anni nei quali la giustizia è stata, ed è ancora, uno dei principali terreni di scontro politico - giustizia usata come una clava contro qualcuno o a favore di qualcuno - e abbiamo davanti alcuni temi, alcune occasioni importanti, che voglio citare per titoli. La riforma del Consiglio superiore della magistratura: un contributo che il Parlamento può e deve dare alla magistratura per aiutarla a ritrovare autorevolezza e credibilità, minate da una degenerazione correntizia e carrieristica troppo diffusa. Siamo sicuri che migliaia di magistrati sono estranei a queste pratiche, che la magistratura abbia gli anticorpi per reagire, come ha detto il nostro Presidente della Repubblica, ma noi abbiamo il dovere, come Parlamento, di favorire un reale processo di rigenerazione che premi davvero il merito e le capacità, che garantisca la parità di genere e, insieme, il rispetto dell'indipendenza, dell'autonomia della magistratura e della separazione dei poteri.
Pensiamo, poi, alla riforma del processo penale, già approvata dal Consiglio dei ministri: anche questa è un'occasione importante, che potrebbe perfino portare a far durare i processi, come dice la Costituzione: durata ragionevole, cinque, sei anni. Come PD, allora, invitiamo tutti noi, tutte le forze parlamentari a un lavoro concentrato su questo obiettivo unificante di civiltà giuridica e costituzionale, per le vittime dei reati, per gli imputati che sono - va ricordato - presunti innocenti fino a sentenza definitiva.
Infine, lo stesso vale per la riforma del processo civile, per abbattere il pregresso, per sviluppare il processo telematico, per portare i nostri procedimenti civili a standard europei: lo dobbiamo ai cittadini, alle imprese, agli investitori.
E infine, dobbiamo riprendere la riforma dell'ordinamento penitenziario per garantire un sistema dell'esecuzione penale moderno e civile, per sviluppare le pene alternative, la messa alla prova. E quando la detenzione è in carcere, la pena deve essere certa, ma deve essere ispirata a principi - come dice l'articolo 27 della Costituzione - di umanità, di recupero, di riabilitazione. Investire in umanità nella politica carceraria significa anche investire nella sicurezza dei cittadini: un detenuto ha sbagliato, paga il suo debito, ma quando esce, se viene trattato con umanità, se ha un diploma in mano, se ha imparato un mestiere, non torna a delinquere. Quindi, investire in umanità nelle carceri significa anche investire nella sicurezza dei cittadini.
Allora, il Parlamento - e ho finito -, secondo noi, e non solo la maggioranza, ha un'occasione, una vera occasione: provare – provare – a togliere di mezzo le bandierine identitarie, propagandistiche, le cose che possono essere più divisive, per cercare di concentrarsi, invece, su alcune riforme di sistema. Proviamo a mettere da parte, appunto, le bandierine identitarie e concentriamoci su qualche terreno comune, senza escludere, ovviamente, la discussione anche su terreni importanti che ci trovano divisi, ma che è giusto, non possiamo impedire le discussioni anche su temi: è stata citata la separazione delle carriere. Si discuta laicamente, ma ci si concentri sulle cose che possono fare di questo Parlamento il Parlamento che, nella giustizia, non fa ritornare il Paese alla normalità, ma che cambia quella vecchia normalità fatta di inefficienza, fatta di tutto quello che conosciamo di vecchio nella giustizia. Insomma, Presidente, qualche bandierina identitaria e propagandistica in meno, qualche principio costituzionale in più. È con questo spirito che, come Partito Democratico, votiamo convintamente il provvedimento, ma anche con questo auspicio: che il Parlamento, insieme, lavori sempre meglio per il Paese, anche nel campo della giustizia